Per i nuovi macchinari pagano anche gli operai

Da piccola immaginava un futuro diverso, impegnata a disegnare vestiti come Dolce & Gabbana. In nessuno dei suoi sogni c’era il cannello per saldare pezzi di motorini per lavatrici, «ma la vita spesso ti porta su lidi distanti da quel che avevi pensato…».

Marina Cedraschi, 33 anni, per tutti Marina «Lennon» in omaggio al suo mito musicale, fa parte dei 301 operai che l’8 febbraio hanno votato «sì» al referendum promosso dai sindacati della Sisme: «accettereste di co-finanziare l’acquisto di un nuovo impianto produttivo?» Una specie di contributo di solidarietà all’azienda per evitare la delocalizzazione. «Accetteremmo, si».

La Sisme è la più importante impresa metalmeccanica del comasco. Fornitrice del colosso tedesco Bosch, produce motori per elettrodomestici e impianti di refrigerazione e ventilazione. Ancora 10 anni fa l’azienda di Olgiate impiegava 1.200 addetti. Scesi a 518 dopo la delocalizzazione in Cina (Tianjin) e Slovacchia e la dura ristrutturazione del settore «bianco» (30mila posti di lavoro bruciati in 4 anni). Pesano il calo dei consumi, il rincaro delle materie prime e la corsa dei colossi mondiali a produrre nei paesi dell’Est Europa dove il costo del lavoro pesa un quinto e le tasse sfiorano il 20 per cento. Per la dorsale metalmeccanica padana una concorrenza crudele.
Nel 2009, in pieno tsunami, l’azienda della famiglia Costantini decide di spostare 3 linee produttive nel sito slovacco di Velky Krtis. Il sindacato si attiva per gestire l’emergenza: parte la cassa integrazione e l’accompagnamento alla pensione. Sono mesi difficili: i ricavi crollano a 84 milioni (-22%). Dopo la mini ripresa 2010, nel 2011 la coda recessiva impone un nuovo round di sacrifici. Sisme sperimenta coi sindacati la mobilità volontaria insieme ad un mega piano di contratti di solidarietà che cuba il 40% del totale stipulato in Lombardia. Apripista di una gestione partecipativa sfociata appunto nel referendum dell’altro giorno, approvato dal 65% dei lavoratori.
Per rilanciare il lavoro in Italia servono tuttavia 5 milioni: è il costo della nuova linea produttiva per motori elettrici di generazione tre. I Costantini non ritengono sostenibile l’investimento, minacciano 300 esuberi e di spostare un altro pezzo di produzione in Slovacchia. Ma i lavoratori si mobilitano: scioperi, blocchi e cortei. Marina «Lennon» apre una pagina Facebook – «la Sisme non si tocca e non si sposta» – che diventa una specie di agorà comunitaria in cui discutere di lavoro, mandarsi messaggi e commenti alle partite, condividere video insieme ai post dei sindacalisti che aggiornano la vertenza. L’unione fa la forza e i «sismini» vincono la loro battaglia. Prima di natale la proprietà accetta di negoziare sul principio «risparmi in cambio di investimenti in Italia».

Il resto è cronaca. Un mese fa nasce una commissione tecnica guidata dal professor Luigi Campagna del Politecnico di Milano, Ermanno Dalla Libera dell’Istituto Poster e l’ex segretario nazionale della Fim, Giorgio Caprioli, che entro fine aprile dovrà presentare un piano di miglioramento della produttività aziendale capace di generare risparmi per co-finanziare la nuova linea produttiva.

In caso contrario i lavoratori si tasseranno per raccogliere 700mila euro. Il contributo all’investimento, votato nel referendum, sarà modulato sui livelli retributivi, nessuno escluso: per un terzo livello sarà di 700 euro, per un quadro di 1.500, per un dirigente di 4mila. «E’ giusto che il contributo arrivi anche dai noi, siamo tutti lavoratori che tengono alla Sisme», spiega il direttore del personale, Sergio Luculli.

E’ la fine di un incubo. L’intesa proprietà-sindacati viene firmata giovedì in Confindustria a Como: al primo piano si limano gli ultimi dettagli, nella stanzetta vicina i delegati di fabbrica, Slai-Cobas, Fiom, Fim e Uilm aspettano impazienti tra goliardia e un senso di amicizia raro, senza colori politici, forgiatosi nella lunga vertenza.

«Ognuno di noi ha dovuto rinunciare a qualcosa per tutelare i lavoratori e il loro posto in azienda in uno scenario di mercato nuovo e incerto», ammette Stefano Muzio, segretario provinciale della Uilm. «Ma sbaglia chi ci accusa di aver svenduto i diritti degli operai, non è così…».

Per questo mentre le crisi industriali esplodono da nord a sud, gonfiando mobilità, esuberi, suicidi e gesti disperati, l’accordo in Sisme farà discutere. Si spera di non doverlo estendere ma certamente è un caso di scuola: «Si tratta del primo referendum in Italia a cui partecipano lavoratori e dirigenti tra cui il vice direttore generale, Serena Costantini, proprietaria dell’azienda con il padre e il fratello», ragiona Alberto Zappa, segretario della Fim Cisl di Como, uno dei registi dell’intesa. Sfociata dopo mesi di lotta «in un modello di partecipazione in cui tutti si assumono la responsabilità dei costi e della competitività ai tempi della globalizzazione». E quando dice tutti Zappa intende «lavoratori, proprietà e insieme Fiom, Fim, Uilm e Slai Cobas» che a Roma litigano mentre sul territorio sperimentano vie nuove per uscire dalla crisi. «Senza piantare bandierine ideologiche».

Il risultato è che in cambio della potenziale rinuncia ad un pezzetto di stipendio (o una minor maturazione del Tfr), dopo 6 anni Sisme tornerà ad investire in Italia su motori di nuova generazione. Un progetto che vale 40 posti di lavoro. «C’era questa opportunità per spingere l’azienda a fare il benedetto investimento e l’abbiamo sfruttata», sorride Lucia Rizzo, operaia, delegata Fiom. «I lavoratori ci hanno sostenuto, tutto il resto non conta…».

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